Baerbock contra Scholz: la disfida a di Berlino

Annalena Baerbock con la stampa estera

IL FOGLIO 4 Marzo 2023

Rivalità, competizione, conflitto aperto: da tempo a Berlino le frizioni fra la ministra degli Esteri verde e il cancelliere socialdemocratico sono sotto osservazione dei media che, al netto di tutte le considerazioni geostrategiche e macro politiche (guerra in Ucraina e ripercussioni economiche), non possono non certificare

che fra Annalena Baerbock (42) e Olaf Scholz (64) è in atto una guerriglia sotterranea che rischia di compromettere la politica estera del paese e destabilizzare la statica del governo. Chi decide in politica estera? “Chi è il cuoco e chi il cameriere?”, si domanda il settimanale Focus, tensioni e contrasti fanno comodo solo a Russia e Cina. “Scholz e Baerbock litigano per le linee della politica estera: quanto è profonda la lite, e cosa c’è dietro le fughe in avanti della ministra degli Esteri?”, commenta un analista su T-Online. Per definire il contrasto fra i due, lo Spiegel usa un’immagine drastica: “gattamorta e altoparlante”. Certo è che caratterialmente i due non potrebbero essere più diversi: estroversa, impulsiva, empatica lei. Introverso, glaciale e anaffettivo (almeno in pubblico) lui. In aggiunta, un arsenale retorico e mimico che più contrastante non potrebbe essere: espressiva e loquace al limite del logorroico lei. Enigmatico, controllato, silente al limite del mutismo lui. Una certa rivalità fra cancelleria e ministero degli Esteri è sempre esistita ed è fisiologica, ma quanto sta avvenendo ora a Berlino rischia di sconfinare nel patologico. Tensioni, anche forti, ci sono state fra Gerhard Schröder e Joschka Fischer, specie dopo l’attacco alle Torri gemelle a New York, sull’intervento in Afghanistan e la guerra in Iraq. E anche fra Helmut Kohl e Hans Dietrich Genscher, soprattutto nel processo per l’Unificazione. Ma se Kohl era un monumento, il suo ministro degli Esteri non era da meno: 18 anni nell’incarico, decano in Europa, guerra fredda, negoziato di Helsinki e Csce sui diritti umani nell’Est Europa, l’Unificazione tedesca, Genscher era una specie di Kissinger europeo, un’autorità senza eguali. Ma era Genscher, qualche dissonanza col cancelliere se la poteva permettere. Nel caso della Baerbock e di Scholz, le stellette sul campo devono ancora essere conquistate.

Baerbock vede la stampa nella biblioteca del ministero degli esteri

Siamo solo in parte allo scontro sui contenuti, su Ucraina e Cina le distanze maggiori, ma spesso si tratta solo di punzecchiature, schermaglie e sgarbi diplomatici. Più che una distanza nel merito, fra i due sembra regnare una incompatibilità caratteriale totale. Al dunque, grazie agli ampi poteri conferiti al capo del governo dalla Costituzione (Art. 65) con il principio della “Richtlinienkompetenz” (potere di indirizzo politico), il cancelliere ha sempre l’ultima parola e può zittire i suoi ministri. E’ un potere deterrente, detto anche “il principio del cancelliere”, che non è stato quasi mai usato in Germania perché basta sapere che esiste e può essere invocato. Scholz peraltro, secondo cancelliere a ricorrervi dopo Adenauer nel 1957 su una riforma delle pensioni, ne ha fatto uso il 17 ottobre scorso, all’apice dell’impasse sul prolungamento delle centrali nucleari per sopperire allo stop delle forniture di gas russo, ordinando ai ministri competenti di preparare la bozza di un piano per prolungare oltre la prevista chiusura (31 dicembre 2022) il funzionamento delle ultime tre centrali ancora attive in Germania. Con la ministra degli Esteri, Scholz non è mai stato ancora costretto a minacciare il suo potere di indirizzo, ma gli episodi di attrito si sprecano e finora, almeno in pubblico, il cancelliere ha sempre abbozzato. Il terreno più acceso di scontro è stato il tormentone sulle forniture militari all’Ucraina, soprattutto da ultimo sui carri armati Leopard 2. Scholz tentennava, il governo semaforo era diviso con i Verdi, Baerbock in testa, i Liberali e l’opposizione Cdu a spingere tutti per dotare Kyiv degli agognati panzer, fino a che poi alla fine, in parallelo con Joe Biden e le forniture di tank americani Abrams, il cancelliere ha autorizzato l’invio di quattordici Leopard 2. (Nel frattempo il nuovo ministro della difesa, Boris Pistorius, tutto l’opposto della dimissionaria Christine Lambrecht, è molto determinato e ha annunciato la fornitura di altri quattro Leopard 2). Dietro le quinte, e prima ancora con una gaffe istituzionale a mezzo intervista, la Baerbock si è data da fare per le forniture in fitto dialogo con il segretario di stato Usa, Anthony Blinken, con il quale si intende bene e che su Time Magazine l’ha definita una partner “che sa unire senza soluzione di continuità principi e pragmatismo”. In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung a settembre 2022, la ministra aveva lanciato il guanto intimando al cancelliere di decidersi sui panzer: una sfida e un affronto per Scholz il quale, secondo una ricostruzione della Zeit, la convocava in cancelleria per un colloquio a quattr’occhi invitandola a cucirsi la bocca sui panzer. Per un po’ lei la bocca l’ha tenuta chiusa dandosi però da fare a convincere Washington ad accelerare con le sue forniture nella speranza così di fare leva su Scholz. A gennaio, nuova gaffe in un’altra intervista: questa volta alla tv francese in occasione dei 60 anni del Trattato dell’Eliseo: Berlino, dice rispondendo a una domanda, darebbe l’ok alla Polonia a fornire all’Ucraina parte dei suoi Leopard (essendo di fabbricazione tedesca per essere esportati è necessario il placet della Germania). Una mossa di anticipo dato che la Polonia non aveva ancora fatto alcuna richiesta, e volta a incitare tanto il governo polacco quanto il cancelliere: Scholz non gradì l’intervista. Alla cancelleria si storce il naso per le sparate della ministra e i documenti del suo ministero vengono spesso liquidati come “unterkomplex”, semplicistici: apprezzamento dietro il quale Spiegel intuisce lo stile di Scholz, che sbuffa contro quelli che qualifica come “bellicisti”.

Scholz nel cortile della cancelleria

Sin dal suo arrivo agli Esteri, la Baerbock ha annunciato di voler perseguire una “politica estera femminista e fondata sui valori”. Cosa esattamente sia lo ha spiegato in un documento di 80 pagine presentato alla stampa l’1 marzo. Spingere sulla parità di genere, donna-uomo ma anche altre minoranze, incentivare le nomine e promozioni di donne in diplomazia, la creazione dall’estate di una “ambasciatrice per la politica femminista” e convogliare il 90 per cento dei fondi destinati allo sviluppo in progetti con focus sulle donne. Si capisce quindi che alcuni dossier le stiano particolarmente a cuore come l’Iran, con le proteste delle donne e le brutali repressioni del regime, e la Cina, dove la Baerbock si è prodotta in una ennesima gaffe. A sorpresa, mentre si trovava in visita in Uzbekistan, la ministra ha dato sfogo il 2 novembre al suo disappunto per la visita che Scholz avrebbe fatto il giorno dopo in Cina. A suo giudizio, visita inopportuna pochi giorni dopo il congresso faraonico del Pc cinese in cui Xi Jinping si era fatto celebrare come un imperatore. Il cancelliere deve trasmettere a Pechino i messaggi comuni del governo federale, ammoniva dando istruzioni al cancelliere sul viaggio in Cina: un affronto inaudito. Che non è piaciuto all’interessato. Ma non basta. Specie quando parla a braccio e senza rete di salvataggio degli appunti sotto gli occhi (impensabile per Scholz), la ministra è una mina vagante. Come di recente a un dibattito di un’ora, in inglese, al Parlamento europeo. A una domanda critica di un britannico sull’Ucraina, la Baerbock risponde: “Noi combattiamo una guerra contro la Russia, non fra di noi”. Esattamente quello che Scholz si perita da un anno di evitare, sottolineando a ogni piè sospinto che la Germania non è parte del conflitto. E’ toccato poi al suo staff rettificare lo strafalcione della ministra. La reazione di Scholz a chi lo interpellava al riguardo è stata un silenzio tombale accompagnato da uno sguardo fisso nel vuoto che stava per “no comment”. La strategia della ministra sulla Cina è di fermezza: per Scholz invece non ha senso puntare l’indice contro Pechino, il suo è un approccio pragmatico non idealistico, gli basta aumentare la distanza dalla Cina e diminuire la dipendenza. Il cancelliere si intende molto meglio con il verde Habeck col quale si confronta spesso mentre con la Baerbock si limita allo stretto necessario. E quando può le fa sentire chi comanda: la Germania, come tutti i grandi del pianeta, ha bisogno di una “strategia di sicurezza”, toccava al ministero degli Esteri preparare un documento e la Baerbock contava di fare un figurone presentandolo alla conferenza di Monaco sulla sicurezza, ma la cancelleria l’ha bloccata. Per gelosia secondo i Verdi, per ragioni di contenuto secondo l’entourage di Scholz. Controverso poi dove la nuova istituzione dovrebbe essere allocata, al ministero degli Esteri o in cancelleria? Entramb e le parti la reclamano. Fra una buccia di banana e l’altra, non si contano le frecciatine e gli sgambetti della Baerbock al cancelliere. Ospite d’onore a una popolare festa di carnevale, dove i premiati possono sbizzarrirsi in battute senza peli sulla lingua, la Baerbock ha esordito dicendo che aveva pensato di arrivare mascherata da leopardo ma che ha desistito perché “ero preoccupata che la cancelleria non mi avrebbe concesso per settimane l’autorizzazione ai viaggi”. Oppure il piglio nel prendere decisioni in barba all’iter regolare e alla burocrazia. Come durante una sua recente visita al cimitero alle vittime della rivolta del ghetto di Varsavia durante l’occupazione nazista: viene a sapere che mancano 200.000 euro per allestire una nuova mostra permanente sull’eccidio. Senza pensarci due volte, Baerbock assicura che se ne farà carico il governo tedesco, e lo annuncia anche ai giornalisti con buona pace delle procedure in patria. Scholz una decisione d’impulso così non l’avrebbe mai presa, il cancelliere ha bisogno di un copione, di regole a cui attenersi, come ha dimostrato durante una recente visita in Brasile. A una conferenza stampa con Lula da Silva, il presidente brasiliano aveva proposto di rinunciare ai soliti statement iniziali preconfezionati e rispondere direttamente alle domande dei giornalisti. Scholz ammicca sornione immobile e parte poi a recitare il suo discorsetto precotto. Per Scholz conta la sostanza, non l’apparenza, e anche il suo abbigliamento più che riflettere uno stile sembra una divisa: completo giacca e pantaloni, camicia e cravatta, amen. Baerbock invece non lascia nulla al caso. Secondo lo Spiegel, non fa un passo senza la sua truccatrice Claude Frommen, che ha anche ringraziato in pubblico per il suo look e le belle foto che ne derivano. Il controllo dell’immagine è assoluto e guai a tentare di fotografarla di sorpresa. Abiti sempre a tono con la circostanza, niente foto rubate. Che sia in tuta mimetica, gonna, o pantaloni, abito scuro, lilla o bianco, in scarpe col tacco, da ginnastica, ballerine o scalza nel deserto, la Baerbock tiene molto al suo aspetto, e all’effetto sui consensi. Un fotografo al seguito che a giugno, in uno scalo notturno a Cipro verso il Pakistan, voleva riprenderla senza trucco e in jeans, è stato subito stoppato da un portavoce. Secondo la Bild, Baerbock è al terzo posto per simpatie davanti a Scholz al nono, mentre per la Zdf è al quarto dietro al ministro dell’economia Robert Habeck e al cancelliere Scholz: in entrambi al primo posto c’è il nuovo ministro della difesa Pistorius. Ma quale sarebbe la posta in gioco? Quale il secondo fine della ministra verde nel prendere di mira il cancelliere Spd? La Baerbock ha una sua agenda molto chiara al di là di quella diplomatica: le prossime legislative nel 2025. La ex copresidente dei Verdi, a cui l’altro ex copresidente Habeck aveva ceduto il passo per la candidatura alla cancelleria nel 2021, non ha digerito la sconfitta, peraltro in gran parte confezionata con le sue stesse mani. Partita con un grande exploit, la Baerbock era poi naufragata nella campagna elettorale dopo una serie di incidenti che ne compromettevano la credibilità (un curriculum abbellito, un libro pasticciato copia e incolla, premi economici incassati e denunciati in ritardo, strafalcioni vari nei comizi). Alle urne veniva sbaragliata e la reazione nel partito, e del diretto interessato, era stata: hai avuto la tua chance, la prossima tocca a Habeck. Lei però non ci sta e non rinuncia al sogno della cancelleria. Per questo ha bisogno di visibilità e soprattutto popolarità, fuori e dentro il partito: sarà infatti il congresso dei Verdi a decidere sulla candidatura per la cancelleria nel 2025 e alzando la voce su tutti i temi primigeni dei Grünen – inclusione, gender, femminismo, diritti umani e lotta alle autocrazie – Annalena spera di poterla spuntare.

Annalena sale la scala

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