“Una vita con i Wiener nel tempio delle note”

IL MESSAGGERO 31 Dicembre 2019

L’INTERVISTA VIENNA Nel mondo della musica è un marchio paragonabile allo Steinway: Thomas Angyan, al comando da 32 anni del Musikverein (MV), la sala più famosa del mondo non solo per i celebri Concerti di Capodanno, organizzati dai Wiener Philharmoniker (il prossimo lo dirige l’1 gennaio Andris Nelsons), ma, soprattutto, per la sua storia gloriosa. A giugno lascia di sua sponte l’incarico di sovrintendente. Per il suo addio risuonerà la Sinfonia nr. 8 di Mahler diretta da Philipp Jordan. Il Musikverein è una istituzione privata con budget di 26 milioni e solo il 2% (470.000 euro) della mano pubblica.

Ma perché lascia all’apice del successo? È difficile immaginarla disoccupato. «Trentadue anni al Musikverein (MV) sono molti, avrò 67 anni, giusto far posto alle nuove generazioni. Poi il MV compie 150 anni, una buona cesura, meglio lasciare quando è più bello. Dopo non sarò più attivo operativamente ma resto presidente di diverse fondazioni fra cui la Fondazione Ernst von Siemens, più varie offerte di consulenza. Vorrei avere del tempo per la mia famiglia e per vedere la vecchia Europa, non solo le capitali. In tutto ho lavorato 42 anni, sette giorni alla settimana, dieci mesi l’anno. Di sicuro comunque non scriverò le mie memorie». Come ha reagito alla recente scomparsa di Mariss Jansons, un grande amico del Musikverein? «Una notizia inattesa e scioccante. Aveva diretto a Vienna a ottobre nell’ultima tournée e aveva fatto l’ultima registrazione (Beethoven, Shostakovic). È morto il fine settimana che avrebbe dovuto dirigere a Vienna (Bartók, Rachmaninov). Era stato male ma aveva chiamato dicendo che stava meglio e sarebbe venuto a gennaio (il 6 per dirigere il concerto per i 150 anni del MV): due giorni dopo ha richiamato dicendo che non ce la faceva: è stato un grande shock. Sono grato a Bychkov che ha accettato di dirigere il concerto nello stesso programma della nascita 150 anni fa. Il 14 gennaio, quando Jansons avrebbe compiuto 76 anni, faremo una commemorazione e anche Riccardo Muti ha accettato di partecipare: dirigerà l’Incompiuta di Schubert. Sul podio anche Valery Gergiev (Ciaikovski) e Johannes Prinz (Schubert)». In tanti anni lei ha cambiato sicuramente la sala, quale è stata l’innovazione maggiore? «Quando sono arrivato erano altri tempi, ci sono stati grandi cambiamenti. Il maggiore nel 2000 con le nuove sale e un nuovo programma, cosa per noi molto importante, con gente giovane, musica contemporanea e promozione di giovani artisti. Si tratta di una sala grande con 400 posti e tre piccole di 150-70 posti (di cui una per le prove della sala grande). L’aggiunta delle nuove sale è stata un passo cruciale perché ha cambiato il programma e il pubblico». In questi anni ha conosciuto tutti i grandi artisti del mondo, amicizie e ricordi particolari? «Il mio primo concerto fu l’1 ottobre 1988 con Leonard Bernstein e i Wiener. Il 3 ottobre Herbert von Karajan dirigeva i Berliner Philharmoniker. Bernstein era in sala e nella pausa andò a salutarlo in camerino. Non si vedevano da dieci anni ed erano così felici di ritrovarsi che rimasero a parlare per 45 minuti nell’intervallo dimenticando che il pubblico aspettava e io, alle prime armi, non ebbi il coraggio di sollecitarli. Con Bernstein siamo diventati molto amici, passava tutti gli anni un mese a Vienna. Con Karajan (morto nell’89) ho avuto a che fare solo due volte. Carlos Kleiber era molto introverso, molto gentile ma sempre a distanza, ha diretto qui due Concerti di Capodanno». Un ricordo riguarda anche il grande Arturo Benedetti Michelangeli, sommo ed esigentissimo pianista. «Lo andai a trovare due volte in Ticino, ci eravamo accordati per due concerti. Aveva preteso che la Haus restasse vuota per una intera settimana, cosa complicata per una sala di concerti, ma poi alla fine ha disdetto entrambi i concerti. Non sono seguiti altri tentativi». Come mai i Wiener Philharmoniker a differenza di tante orchestre non hanno un direttore fisso? «Perché fanno anche l’opera (alla Staatsoper) e fanno molto meno concerti ad esempio dei Berliner (che non fanno opera). Se ce lo avessero non avrebbero neanche spazio per ospitare altri direttori. Prima facevano circa 50 concerti l’anno, ora di più con le tournée. Il MV ha ospitato quest’ anno 903 eventi (tre al giorno) di cui 54 concerti dei Wiener. Quasi un terzo, 280, di indirizzo educativo, per bambini e ragazzi da 3 a 18 anni con programmi diversi». Quanto conta la tradizione, ad esempio il Concerto capodanno? «Il Concerto di Capodanno ha contribuito a rendere famoso il Musikverein nel mondo ma è l’impronta di Mahler, Bruckner, Brahms a renderlo unico: per le personalità che vi sono passate, si può dire che è davvero la sala più importante del mondo. Per noi la tradizione conta per trasmettere il patrimonio ricevuto, non per guardare indietro, ma in avanti. I programmi per bambini e giovani sono il nostro futuro. Con le Nuove Sale apriamo a nuove forme di musica, non tradizionale, al jazz, altri continenti. Se non avessimo cominciato anni fa coi programmi per i giovani, non avremmo oggi le sale piene». Flaminia Bussotti © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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