Le metamorfosi di Mozart al Festival di Salisburgo

IL MESSAGGERO 29 Luglio 2017

LIRICA SALISBURGO Mozart reloaded a Salisburgo: una rilettura de La Clemenza di Titolo, ultima opera scritta di corsa contro il tempo e la morte dal geniale compositore salisburghese, in cartellone in apertura del Festival firmata dal congeniale duo Teodor Currentzis e Peter Sellars:il 45/enne direttore greco trapiantato in Russia, dove dirige il teatro dell’ opera di Perm, porta di ingresso per la Siberia, e il 54/enne regista multitalento americano le cui acclamate regie riempiono le locandine di tutto il mondo. L’ opera era la prima scenica di questa edizione del Festival di Salisburgo, che è anche la prima edizione firmata interamente dal nuovo sovrintendente Markus Hinterhäuser nelle cui vene scorre anche sangue italiano (è nato a La Spezia e parla perfettamente italiano). Grande dunque l’attesa. Sellars è un veterano di Salisburgo. Currentzis invece, una specie di Rasputin del podio dal magnetismo demoniaco e conteso ormai in tutto il mondo, era al suo debutto. Ha diretto la sua orchestra musicAeterna di Perm. Il risultato è una ambiziosa rilettura di Mozart che va al di là dell’opera stessa, che si impregna di contemporaneità e propone al contempo una riflessione metafisica sullo stesso Mozart. Pubblico entusiasta, ma con qualche buuu. L’opera seria su libretto di Mazzolà basato su Metastasio, fu commissionata per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II e la prima fu a Praga il 6 settembre 1791: il 5 dicembre Mozart moriva. Il commento della consorte di Leopoldo, Maria Luisa di Borbone, alla prima fu peraltro tranchant: «Una porcheria tedesca in lingua italiana». L’ opera narra dell’imperatore Tito che anziché con la forza e l’arbitrio governa con la misericordia e il perdono (tema del Festival quest’ anno è il potere). Per questa messa in scena viene trasformata, integrata con altre composizioni di Mozart (Requiem e Musica funebre massonica) e sublimata. Si comincia con un esplicito riferimento all’ oggi: il coro (dell’Opera di Perm) nei panni di una massa di profughi (le donne col velo in testa) respinti da poliziotti armati di mitra. Sesto, salvato assieme alla sorella Servilia, dalla generosità di Tito e divenutone amico, che per amore della amata Vitelia congiura contro l’imperatore, diventa qui, da traditore, un terrorista kamikaze con tanto di pistola e cintura con esplosivo. Tito non scampa all’ attentato: nella rilettura fatta viene ferito, ricoverato (in scena un letto da camera intensiva) e dopo una scena catartica in cui perdona tutto e tutti mostrando che ci si può sottrare alla legge della vendetta e obbedire a quella dell’amore, strappa le macchine che lo tengono in vita. Scarne le scene di George Tsypin, quasi da allestimento semiscenico: pochi elementi abitano il vasto palco della Felsenreitschule, la vecchia scuola di equitazione che di per sé rappresenta una quinta spettacolare con i suoi tre ranghi di gallerie scavati nella roccia. Strutture moventi, una specie di colonne quadrate, si levano e calano nel pavimento. A volte sono illuminate (il rosso forse deve evocare l’incendio appiccato da Sesto per distruggere Roma e Tito), a volte scompaiono. In un angolo un memoriale alle vittime dell’attentato con fiori e lumini di candele come i tanti che si sono visti in Europa dopo le stragi di Parigi, Bruxelles o Berlino. Costumi (di Robby Duiveman) minimalisti e volutamente poveri. Cast (prevalentemente nero) eccellente, con il mezzosoprano francese Marianne Crebassa che spiccava. Tito è Russel Thomas, Vitelia Golda Schultz, Servilia Christina Gansch. Per Sellars, che ha paragonato il personaggio di Tito a Mandela, era importante trovare cantanti neri: anche in Europa, ha detto in una intervista, sarà come in America, i neri aumenteranno e arriverà un giorno anche qui un presidente Obama. Flaminia Bussotti © RIPRODUZIONE RISERVATA

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