Meyer: “Il mio sogno è Muti alla Scala, è casa sua”

(C) Michael Poehn

IL MESSAGGERO 30 Giugno 2019

L’ INTERVISTA Modi gentili, fare diplomatico, aplomb francese: Dominique Meyer sarà il nuovo sovrintendente della Scala. Il coronamento di una carriera che lo ha visto alla guida dell’Opera di Parigi, dell’Opera di Losanna, del Theatre des Champs-Élysées e, dal 2010, della Staatsoper a Vienna. Nella città degli intrighi, è il prototipo dell’anti-intrigante: è risultato immune ai veleni e ha esibito bilanci da fare invidia. I viennesi lo salutano con Herr Direktor quando gira per strada o prende il tram. La Staatsoper per loro non è un teatro qualsiasi, è un mito paragonabile alla Hofburg, l’ex corte imperiale, sede oggi della presidenza della Repubblica. Quest’intervista è stata fatta al telefono da Vienna. Passare dalla Staatsoper alla Scala non sarà facile: teatro di stagione anziché di repertorio, città diverse, pubblico anche. In che consiste la sua sfida e come spera di vincerla? «Innanzitutto ho fatto a Vienna dieci stagioni (programmazione di repertorio) il che per me era una novità perché prima avevo diretto sempre teatri di stagione. È chiaro che sono due teatri completamente diversi. Affronterò le cose come sempre ho fatto: studiando la situazione, ascoltando i colleghi del teatro, cercando la soluzione migliore. Devo anche vedere la situazione dei conti, del pubblico e del lavoro artistico». Anche se ama l’Italia e parla benissimo la nostra lingua, è francese. Dopo altri due stranieri, sembrava un ostacolo. Come è stato superato? «Nessuno mi ha mai trattato da straniero. Tanti in Italia mi conoscono per i concorsi canori e il lavoro con Muti e la Cherubini. Ho passato tanto tempo qui, sono europeo e non mi sono mai sentito straniero. A Vienna, per esempio, mai nessuno ha mai usato la parola francese in senso negativo. Comunque sono nato in una terra di confine, l’Alsazia, e chi mi conosce sa che il mio cuore batte in Italia». La Scala è un teatro complicato, con diversi attori in gioco: non teme le difficoltà che troverà per imporre la sua visione? «Tutti i grandi teatri sono complicati, non è che l’Opera di Parigi sia facile o Vienna una passeggiata. Sono realtà complesse con tanto personale e usanze specifiche. Il nostro lavoro è trovare le soluzioni migliori». A Vienna, con il teatro sempre pieno e un cartellone estremamente vario, il pubblico è fatto di aficionados viennesi, melomani giapponesi, turisti di tutto il mondo. A Milano sarà diverso: metterà più l’accento sulla tradizione o l’ innovazione con registi moderni e sperimentali? «Non capisco la contrapposizione tradizione e modernità, siamo tutti contemporanei. Quel che è importante è che la Scala deve essere un teatro modello per il repertorio italiano. Quanto ai registi, mi piace la modernità equilibrata, non aggressiva. Un teatro oggi non può essere come 50, o 100 anni fa, ci sono nuovi artisti, dobbiamo guardare avanti con rispetto del passato». Con Pereira sono aumentati i fondi degli sponsor, e anche le alzate di sipario con nuove proposte in cartellone e nuove offerte per il pubblico: un concetto da mantenere o rivedere? «Non mi piace parlare di queste cose senza conoscerle bene. Bisogna vedere la differenza fra il costo dell’offerta e il ritorno in termini di biglietti venduti in platea. È importante l’equilibrio fra spettacoli aggiunti e numero di persone in grado di pagare biglietti molto costosi». La nomina è stata accompagnata da polemiche, come l’endorsement di Chailly per Pereira e il forfait della Bartoli: come pensa di ricomporre le tensioni? «Chailly è stato nominato da Pereira, capisco benissimo che si sia speso per lui e lo trovo anche giusto. Ci siamo parlati e capiti molto bene. Con Cecilia Bartoli aspetto di capire quel che è successo. Ci conosciamo da tanto: concerti tutti gli anni agli Champs Élysées, e poi il famoso dvd di Vivaldi lo ha inciso da me». Lei conosce bene il maestro Muti: da quando ha lasciato la Scala nel 2005 è tornato solo con orchestre straniere (lo farà anche a gennaio con la Chicago): Pereira ha fatto di tutto per farlo tornare, lei? «Certo. Sarebbe un sogno. Penso che il suo posto sia in buca alla Scala. Anche se ci sono stati problemi, il tempo è passato, io sono per una rappacificazione. Amiamo tutti l’opera e amiamo la Scala, conviene tornare insieme. A proposito, sono molto felice che Riccardo Muti torni a Vienna nella mia ultima stagione per dirigere Così fan tutte». Quale sarà il suo primo compito? «Trovare i membri della direzione, incontrare i lavoratori, forse dare una mano ai sindacati. Ho tanti amici alla Scala, sarò felice di vederli. Poi verrà il tempo per studiare la situazione, vedere fino a quando è programmato il teatro, guardare i conti e risolvere questioni sul tappeto». Lei ha fama di essere un grande gourmet: meglio la schnitzel viennese o la cotoletta milanese? «Le mangio poco, meglio il risotto alla milanese». Flaminia Bussotti © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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