IL DEUTSCH-ITALIA 18 Febbraio 2019
La 69esima Berlinale si è chiusa questo fine settimana con qualche sorpresa e confermando la sua fama di festival politico. Il film italiano “La paranza dei bambini”, di Claudio Giovannesi vince l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura (scritta da Roberto Saviano assieme al regista e Maurizio Braucci): in molti si sarebbero aspettati di più. L’Oro d’oro è andato all’israeliano Navad Lepid per “Synonymes”(prima vittoria per un film israeliano), storia di un giovane israeliano che dice di odiare Israele e va a Parigi con l’intento di chiudere i ponti con il suo Paese e la sua lingua, l’ebraico. Da qui il titolo perché il protagonista, forse traumatizzato dal suo periodo sotto le armi, cerca affannosamente di imparare il francese e la sua ricchezza lessicale. Ne scaturisce uno strano triangolo erotico amicale con una coppia di francesi che lo hanno aiutato. Il film si basa in parte su esperienze personali del regista, nato nel 1975 a Tel Aviv, che dopo il militare si era trasferito a Parigi per poi rientrare. Forse “Synonymes” susciterà scandalo in Israele o in Francia, ha detto emozionato Lapid ricevendo il premio. Per ora si segnalano invece solo le felicitazioni del presidente israeliano Reuven Rivlin, ma al di là della sorpresa dei critici, è comunque difficile immaginare un run del pubblico ai botteghini per vedere la pellicola (durata 123’).
l film non era nella short list del toto vincitori e l’Orso d’oro ha sorpreso. Ma le scelte della giuria, guidata dall’attrice rancese, Giuliette Binoche (smagliante alla premiazione in un abito di alta moda in raso avorio) hanno riservato altre sorprese. Due Orsi d‘argento a due film tedeschi: migliore regia ad Angela Schanalec per “Ero a casa, ma”, dramma familiare madre-figlio e sorellina, con l’uso della camera a distanza per valorizzare la dinamica interiore dei protagonisti. E il premio Alfred Bauer a Nora Fingscheidt per “System crusher” per le “nuove prospettive aperte” dal film. È la storia di una bambina ribelle che sfugge a ogni forma di socializzazione, sfascia-sistema appunto, che viene allontanata dalla famiglia e passa senza successo da un centro di recupero all’altro.
Il Gran Premio della giuria è andato al film di Francois Ozon, “Grace á Dieu”, sullo scandalo di pedofilia nella diocesi di Lione finito davanti alla giustizia civile (sentenza attesa per marzo). Gli Orsi d’argento per migliori attore e attrice sono andati ai cinesi Wang Jinchun e Yong Mei, protagonisti di “So long, My Son” di Wang Xiaoshuai. Il film segue le vicende della coppia lungo 30 anni (durata 180’). L’assegnazione di due premi allo stesso film cinese ha sorpreso. Era il solo film dalla Cina dopo che all’ultimo minuto era stato ritirato dalla competizione quello di Zhang Yimou, “One second”, per presunti “motivi tecnici”. Si sospetta in realtà la censura come chiaramente fatto capire dalla Binoche in apertura del suo statement: «speriamo che questo film potrà esser visto presto in tutto il mondo, ci è mancato molto alla Berlinale», ha esordito. Infine, un Orso d’argento per straordinari meriti artistici è andato a Rasmus Vedebäk, direttore della fotografia nel film norvegese di Hans Petter Moland, “Fuori a rubare cavalli”. A mani vuote sono rimasti invece il film macedone “Dio esiste, il suo nome è Petrunija”, della regista Teona Strugar Mitevska, su cui molti scommettevo per l’Orso d’oro, e quello mongolo “Öndög di Wang Quan’an”.
Nel ringraziare per il premio alla sceneggiatura, Saviano ha detto di dedicarlo «alle organizzazioni non governative che salvano vite nel Mediterraneo» e «ai maestri di strada che a Napoli salvano vite nei quartieri popolari». «Scrivere questo film ha significato un atto di resistenza, perché raccontare la verità nel nostro Paese oggi è una cosa molto complessa», ha chiuso fra gli applausi. “La paranza dei bambini” era il solo film italiano in concorso e il premio è il primo vinto dall’Italia dopo “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi che prese l’Orso d’oro nel 2016.
Questa edizione della Berlinale era l’ultima sotto l’egida di Dieter Kosslick (71), che ha guidato il Festival per 18 anni. A detta di molti giornalisti accreditati, non è stata la sua annata migliore: la selezione dei film in concorso, scesi a 16 con la defezione del cinese, e l’assegnazione degli Orsi hanno sollevato perplessità. Nell’insieme comunque l’era Kosslick ha lasciato il segno e il direttore è stato ampiamente lodato da tutti, ricevendo anche un “orso” molto speciale della giuria: un gigantesco teddy bear di peluche consegnatogli personalmente dalla Binoche. Sotto la sua guida il Festival si è espanso fino a raggiungere 400 film fra tutte le sezioni (il maggiore per numero al mondo) e a raddoppiare le vendite dei biglietti (quest’anno oltre 300.000), confermandosi comunque, rispetto a Cannes e Venezia, il festival decisamente più politico di tutti, come lo stesso Kosslick non si stanca di ripetere. «Sì, la Berlinale è un festival politico, dobbiamo combattere per i diritti umani e una società differente», ha detto alla presentazione dei premi indipendenti la mattina, ricordando l’invito nel 2003 a tre ex detenuti di Guantanamo innocenti.
In sala sabato sera alla cerimonia dei premi c’era anche il duo che gli succederà dall’anno prossimo, 70esima edizione, alla direzione del festival – l’italiano Carlo Chatrian (47) e l’olandese Mariette Rissenbeek (63) – nonché il vecchio direttore, il predecessore di Kosslick, Moritz de Hadeln (78). La serata si era aperta con un tributo al grande Bruno Ganz (77), la cui morte era stata resa nota poche ore prima. Lungo applauso e standing ovation per l’attore svizzero, interprete memorabile di infiniti ruoli al cinema e al teatro, e indimenticabile angelo nel film “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.