Salisburgo: intervista Helga Rabl-Stadler, lady di ferro al comando Festival

IL MESSAGGERO 20 Agosto 2016

Salisburgo – Da 21 anni alla guida di Salisburgo, con riconferma scontata fino al 2020 quando il Festival compie 100 anni. A 68 anni, Helga Rabl-Stadler – carriera politica alle spalle, modi squisiti e sempre elegantissima – porta l’età con leggerezza e orgoglio. Il Festival più importante del mondo lo governa col sorriso sulle labbra e pugno di ferro. Austriaca per forma e protocollo, salisburghese di nascita, l’Italia nel cuore: giorni fa l’ambasciatore italiano le ha conferito l’onorificenza di ‘Grande Ufficiale dell’ordine della Stella d’Italia’ e nel ringraziare lei ha confessato il suo legame “genetico” con l’Italia essendo nata il 2 giugno 1948, assieme alla Costituzione. “A parte la mia patria, rappresenta il meglio dell’Europa”. Negli anni al Festival ha conosciuto tutti i grandi della musica e per tutti lei è “Helga”. Ha visto passare sei sovrintendenti, incluso Gerard Mortier, il primo succeduto a Karajan, grande innovatore. In particolare ricorda Peter Ruczika che nel 2006, per i 250 anni di Mozart, “ha avuto la fantastica idea di presentare tutte le opere di Mozart, 22: nessuno sapeva che ne fossero tante e tutti trovavano l’idea folle. Invece è stata una ebrezza generale, una mozart-mania che ha preso tutti”. Festeggiare i 100 anni “sarà un compito difficile: non bastano una mostra, un libro, o rievocazioni del passato, serve un forte statement per dire che c’è bisogno del Festival anche in futuro: un progetto di pace nato dopo la prima guerra mondiale per avvicinare i popoli che si erano combattuti”.

Con tanto amore per l’Italia le piacerebbe magari lanciare un Festival nel Belpaese?

“No, l’Italia non ha bisogno di nessun nuovo Festival ma di denaro per le istituzioni culturali esistenti, come ad esempio il San Carlo. È piena di Festival, dalla Sicilia a Bolzano, con tanti bei teatri e tutti soffrono di carenza di fondi: meglio aiutare loro così la gente può andare a teatro tutto l’anno”.

Particolare amicizia la lega a Riccardo Muti: “è salito 251 volte sul podio a Salisburgo, dopo Karajan più di tutti, ci viene dal 1971. Muti incarna l’ideale del Festival: per lui la qualità è fondamentale e poi come lavora con i Wiener…. Siamo amici: ho festeggiato tante volte qui il suo compleanno (28 luglio), lui preferisce passarlo con pochi amici. Anche il prossimo sarà qui perché fa Aida: chi meglio di lui, il migliore interprete di Verdi, potrebbe farla”. Lodi anche per il prossimo sovrintendente Markus Hinterhäuser: “il bello è che lui stesso è un artista (pianista), ha molta fantasia e una grande capacità di entusiasmare la gente specie per la musica contemporanea. Con lui il Festival entrerà in una nuova fase, sara’ una svolta come con Mortier. Ci sarà molta musica del XX secolo, Sciostacovic, Berg. Per lui Salisburgo deve diventare ‘epicentro dell’eccezionale’”. (I media annunciano un programma audace per l’esordio di Hinterhäuser nel 2017 con ben cinque nuove produzioni di opere inclusa Aida).

In una nazione che fa della cultura la sua politica estera, il suo è anche un incarico politico: “noi siano una ‘Kulturnation’ e io credo che arte e cultura abbiano un ruolo importante nella vita pubblica e privata. Mi preoccupo delle nuove generazioni, non so se per loro la cultura sarà tanto importante, e mi fanno paura tanti Ceo che di cultura non si interessano affatto”.

È stato difficile per lei come donna arrivare in alto?

“Molto, e lo è ancora per molte donne. È importante che le donne siano orgogliose quando altre, magari non più giovani come me, ce la fanno. Per me è stato difficile, dovevo dimostrare di essere capace ‘malgrado’ fossi donna (ha ricoperto in passato importanti incarichi politici per il partito popolare): per questo sono per le quote. Non è possibile che all’Università da noi solo il 2% degli ordinari siano donne! Ed è stato anche un peccato che l’Austria non abbia colto la chance di eleggere un presidente donna”.

Vedi articolo Il Messaggero 20. 8. 2016

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